L’Italia diventa povera perché non fa abbastanza
ricerca. Si piange sulla disoccupazione che sale tragicamente, ma non si dice
che l’occupazione è più alta ove i livelli di innovazione sono più elevati. La Commissione Europea
pubblica i dati 2012 la classifica al 2012 dei 27 paesi dell’Unione in base al
livello di innovazione raggiunto, espresso da un indice (compreso fra 0 e 1)
funzione di 25 indicatori (lauree, ricerca scientifica, investimenti pubblici e
privati in R&D, brevetti, etc.)
L’istogramma è molto simile a quello del 2012.
In verde: 4 leader (Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia) - in celeste,: 10 innovatori di seconda classe, in giallo 9 innovatori moderati e in arancione; 4 innovatori modesti. La Svezia sta a 0,75. La media dei 27 Paesi sta a 0,53. L'Italia sta fra gli innovatori moderati a 0,42 – come l’anno scorso al 15° posto su 27 - dopo Estonia, Slovenia, Cipro – tutti sotto la media.
In Italia gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,53 (nel 2011 erano 0,54) del PIL (0,71 della media europea) e quelli privati sono lo 0,68 (nel 2011 erano 0,71 %) del PIL (0,54 della media europea). Questo divario dura da 30 anni. Non è solo questione di investimenti, ma di cultura media. La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è in Italia il 20,3%. La media europea è 34,6 %, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia 47%, Francia 43,4%, UK 45,8 %, Irlanda 49,4 %. A livello più basso dell’Italia c’è solo la Turchia.
L’Italia è, dunque, carente nei livelli di istruzione e negli investimenti in R&D particolarmente nel settore privato.
Diminuire gli investimenti e le spese (che creano lavoro), aumentare le imposte e i tassi di interesse – sono politiche di austerità inopportune: non favoriscono la ripresa e aggravano la depressione.
La tavola seguente mostra, insieme al livello di innovazione, il tasso di crescita relativo. Per l’Italia è poco meno del 3% - più basso di quello di Slovacchia, Malta e delle Repubbliche Baltiche.La tavola seguente mostra, insieme al livello di innovazione, il tasso di crescita relativo. Per l’Italia è poco meno del 3% - più basso di quello di Slovacchia, Malta e delle Repubbliche Baltiche.
In Italia mass media e dibattiti politici non menzionano questi dati. Sarebbe urgente la riforma vitale che portasse l’industria a triplicare gli investimenti in Ricerca e Sviluppo spinta a farlo dal Governo. Invece non se ne parla nemmeno. Si discute di riforme formali, come l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Si commentano con favore piccoli risparmi: un milione per aver reso sobria la parata del 2 Giugno e 500 milioni di finanziamenti pubblici ai partiti – da ridurre gradualmente [ma già il referendum del 1993 li aveva aboliti, per vederli tornare un anno dopo].
I 4 Paesi europei più innovatori (Svezia, Germania, Finlandia, Danimarca) hanno un PIL pro capite del 25% più alto del nostro e il loro PIL cresce ogni anno di 4 punti percentuali più del nostro. Se innovassimo come loro ogni anno il PIL crescerebbe di 60 miliardi di Euro, rispetto ai quali i risparmi citati – pure opportuni – appaiono trascurabili. Il baratro di cui parlava il Presidente della Confindustria, dipende non solo da imposte alte e da ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, ma anche dalla critica e triste situazione che ho descritto. Smettiamo di scavare baratri.