lunedì 31 marzo 2014

L'editto di Costantino

"In cammino", il giornalino della Parrocchia di Trezzo, in questi giorni in distribuzione nelle caselle di posta, annegato tra le pubblicità di ipermercati e bricocenter, riporta, come nello scorso mese di ottobre, in occasione della festa patronale, sia stato inaugurato un cippo commemorativo a ricordo dei 1700 anni dell'Editto di Costantino.
Non sarò mai abbastanza grato alla Comunità Pastorale di San Gaetano per avermi aiutato a ricordare che Flavio Valerio Aurelio Costantino fu probabilmente uno dei più grandi "bluff" della storia.
Chi non ricorda la leggenda secondo la quale, durante la guerra civile combattuta con Massenzio nel 312, all'imperatore sarebbe apparsa la croce sovrastata dalla scritta "In hoc signo vinces" che l'avrebbe avvicinato al cristianesimo.
Gli storici, primo tra tutti il cristianissimo Lattanzio, sono più propensi a pensare che se proprio croce ci fu, questa non apparve in cielo ma dipinta sugli scudi o sugli elmi dei soldati, per impedire ai combattenti delle due fazioni, vestiti con le stesse armature, di massacrare un compagno e non un avversario.
Anche intorno all'Editto di Milano, quello che oggi abbiamo "cippato" sotto la Torre del Castello di Trezzo, le ricostruzioni storiche discordano da quelle religiose.
La vulgata clericale riporta che l'Editto di Milano avrebbe liberalizzato la religione nell'impero romano, tale da farne una delle date fondamentali nella storia dell'Occidente.
Una più recente interpretazione delle fonti, ha portato alcuni storici ad affermare che quello che Costantino e Licinio firmarono a Milano nel 313, non si trattò di un vero e proprio editto, ma più che altro l'attuazione delle misure contenute nell'Editto di Galerio del 311, con il quale era stato definitivamente posto termine alle persecuzioni.
Ma certamente il documento più controverso attribuito all'Imperatore Romano è il "Lascito di Costantino", recante la data del 30 marzo 315.
Il documento sarà utilizzato dalla Chiesa nei secoli futuri per avvalorare i propri diritti sui possedimenti territoriali in Occidente e per legittimare le proprie mire di carattere temporale.
Già Dante Alighieri sollevò qualche perplessità circa la legalità del lascito (Inferno XIX, 115-117), ma fu nel 1440 che, l'umanista italiano Lorenzo Valla, dimostrò in modo inequivocabile come la donazione fosse un falso. Lo fece in un approfondito studio storico e linguistico del documento. Tuttavia l'opuscolo del Valla: "De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio" (Discorso sulla donazione di Costantino, altrettanto malamente falsificata che creduta autentica), poté essere pubblicato solo nel 1517 e in ambiente protestante, mentre la Chiesa cattolica difese ancora per secoli la tesi dell'originalità del documento. Nel 1559 lo scritto di Lorenzo Valla fu incluso nell'Indice dei Libri Proibiti in quanto pericoloso per la fede. 
La commistione della Religione Cattolica con lo Sterco del Demonio è più solidale di quanto si pensi.
Parlando di danaro, circa il "cippo trezzese", sarebbe interessante chiedere alla Comunità Pastorale di San Gaetano a quanto ammonta il Patrocinio che l'Amministrazione Comunale ha messo a disposizione per l'opera.

lunedì 24 marzo 2014

Ectoplasmi

Da 36 anni è un atteso ritorno, come il festival di Sanremo a febbraio, a marzo spuntano puntuali le ombre sul rapimento di Aldo Moro e la mattanza della sua scorta.
Quelle di quest'anno riguardano la motocicletta Honda blu, presente in via Fani il 16 marzo del 1978, dalla quale partì, da un piccolo mitra, una raffica contro l’ingegner Alessandro Marini che si trovava a passare all’incrocio tra via Fani e via Stresa.
I proiettili frantumarono il parabrezza del suo motorino. L’ingegner Marini si salvò solo perché cadde di lato quando la raffica partì dal mitra.
La stessa sera a casa Marini arrivò la prima telefonata di minacce: “Devi stare zitto”. Per giorni le intimidazioni continuarono. Si rafforzarono quando tornò a testimoniare ad aprile e giugno. Poi l’ingegnere capì l’aria e si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò lavoro.
I brigatisti Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quella moto blu di grossa cilindrata: “Non è certamente roba nostra”.
Chi fossero i due uomini, che da quella moto spararono verso un civile presente sulla scena del rapimento, ad oggi non è ancora dato a sapersi.
Secondo il pm romano Antonio Marini, che ha indagato a lungo sulla vicenda, potrebbero essere uomini dei servizi segreti deviati.
Quest'anno il fatto viene confermato dall'ispettore Enrico Rossi, ora in pensione, che rivela il contenuto di una lettera scritta da uno dei due presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento, il 16 marzo 1978: "Dipendevo dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi. Dovevamo proteggere i terroristi da disturbi di qualsiasi genere". Nella missiva anche dettagli per risalire all'altro agente alla guida del mezzo, "ma l'indagine fu ostacolata".
Il fantasma di Moro continua ad aleggiare per l'Italia.
A proposito di poltergeist, non è un caso se il 10 giugno 1981, uno degli ultimi Presidenti della Repubblica in pectore a cui siamo scampati, Romano Prodi, chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro, rivelò i dettagli della famosa seduta spiritica avvenuta il 3 aprile 1978, nel corso della quale un' entità (nella fattispecie, come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira) avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.
Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile 1978 viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. 
All'allora Ministro dell'Interno Francesco Cossiga, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli a Roma, luogo della vera prigione di Moro, non viene in mente di mettere in collegamento le due cose. 
Il cadavere dell'esponente democristiano fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del PCI e da Piazza del Gesù, sede nazionale della DC.

domenica 2 marzo 2014

Fancazzismo...

«Collega Salvini è una vergogna […] sei l’unico che non abbiamo mai visto in riunione. È facile dire che abbiamo fatto aria: no, abbiamo lavorato nell’interesse delle piccole aziende, dei lavoratori, degli appalti pubblici statali. […] Lei è solo in tv, mai in aula per lavorare. È una vergogna, sei un fannullone in questo parlamento». Così, in italiano, il socialista belga di origini italiane Marc Tarabella ha attaccato Matteo Salvini durante il dibattito in seduta plenaria sul suo rapporto sulla direttiva appalti pubblici, dopo che il segretario della Lega Nord aveva definito il testo «tanta aria» come, aveva aggiunto, «per la direttiva sui pagamenti della pubblica amministrazione». «È un documento che giustifica lo stipendio di una burocrazia europea che complica la vita delle imprese e dei lavoratori» aveva detto Salvini, relatore ombra dello stesso testo, suscitando la reazione di Tarabella, il quale, furibondo, ha fatto notare a Salvini che non aveva nessun diritto di criticare il lavoro dei colleghi, visto che lui non si era mai presentato alle sedute.
Investito dalla rabbia del collega, il Segretario della Lega Nord ha incassato la lezione, replicando a caldo: «Non me la prendo, anche se colleghi di sinistra querelerebbero. Sarei stato più presente se fin dall’inizio avessi avuto la certezza che non saremmo arrivati al niente e non avremmo portato nulla alle Pmi. Ringrazio il collega, non mi offendo e lo prendo come uno stimolo ad essere più presente».
A freddo sul proprio profilo Facebook Salvini replica coi numeri: «FANNULLONE e assenteista? CAZZATE! Menzogne smentite dai numeri e dai risultati ottenuti. Il sito mepranking.eu mi assegna infatti il 91% di produttività, con 255 documenti attività ed interventi, e ben 527 deputati dietro di me in "classifica" per attivismo parlamentare. L'altro sito votewatch.eu mi riconosce invece di aver emendato oltre 100 Rapporti (più di altri 600 Parlamentari) e di aver presentato 151 interrogazioni (sono fra i primi 100). E considerate che come leghista sono l'unico nella mia Commissione, e quasi tutte le nostre proposte, anche le più ovvie e di buonsenso, vengono bocciate senza discussione. Lavoro 18 ore al giorno, in Parlamento, nelle fabbriche e fra la gente proprio per risolvere i problemi che gli EURO-FOLLI creano con le loro pazzesche direttive e la loro MONETA CRIMINALE. Ora pubblico il video integrale della polemica di ieri, che invece, alcuni siti e giornalisti di sinistra hanno ritagliato ad arte».

sabato 1 marzo 2014

Roberto Vacca - L’innovazione brilla altrove

Il presidente della Confindustria Sergio Squinzi lo ripete da tempo, come una litania: «L’Italia non aiuta l’industria». Punta l’indice contro le imposte eccessive e i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e invoca: «Dateci un Paese normale e vi faremo vedere di che cosa siamo capaci». La dichiarazione d’intenti è coraggiosa, il j’accuse comprensibile ma parziale perché, come spesso succede, il circolo è vizioso. Che cosa fa la nostra industria per ringiovanire? La Technology Review del Mit (Massachusetts Institute of Technology) ha stilato una classifica delle 50 industrie più innovative del mondo. Il criterio era semplice e ben preciso: scegliere aziende che negli ultimi 12 mesi hanno sviluppato, con successo, tecniche nuove così importanti da ridefinire interi settori di attività e costringere la concorrenza alla rincorsa per ritarare le propria strategia e conquistare la leadership. E’ significativo che non compaiano aziende come Apple o come Facebook perché l’ottima reputazione, la rapida crescita, la quantità degli investimenti o il numero dei nuovi brevetti non erano parametri sensibili al criterio della classifica. Ma quante sono le industrie italiane presenti nella classifica di Technology Review? Nessuna. E allora vien da pensare che le nostre aziende non possono attendere che venga loro offerto su un piatto d’argento un Paese normale. Dovrebbe impegnarsi loro, qui e ora, a innovare se stesse, aumentando anche gli investimenti in ricerca e sviluppo. Il governo, gli scienziati e gli accademici dovrebbero poi incoraggiarle e aiutarle. Solo così il circolo diventerebbe virtuoso. E il Paese normale. 
Ma al di là delle considerazioni di “strategia economico-politica”, resta il fatto che, quanto a “strategia innovativa”, l’industria italiana brilla per l’assenza, mentre quella del resto del mondo registra successi. La classifica di Technology Review è significativa.
Al primo posto si colloca Illumina, fondata nel 1998 a San Diego, California. Produce macchine per identificare le sequenze del genoma (oltre 3 miliardi di coppie di basi), crea software e offre servizi. La genialità dell’azienda? Ridurre drasticamente i costi. Il genoma umano fu decodificato per la prima volta nel 2000 al costo di 100 milioni di dollari. Nel 2011 scese a 10.000. Nel 2013 Illumina riesce ad abbassarlo fino a 1000 dollari. Un’impresa titanica che rivoluzionerà la medicina, perché si potranno avere nuove diagnosi e cure del cancro e di malattie genetiche senza svenarsi, e anche l’agrigenomica, perché porterà a una nuova rivoluzione verde.
Al secondo posto della classifica c’è Tesla Motors, che si prefigge un obiettivo ambizioso: far diventare l’automobile elettrica un oggetto di normale uso quotidiano. Del lussuoso Modello S, Tesla Motors progetta tutto: motore, batterie, elettronica, software e controlli digitali. Sebbene abbia un prezzo di oltre 100.000 dollari, cioè il doppio della Leaf (Nissan) e della Volt (General Motors), ne vende il doppio. Questo perché è riuscita, grazie alla sua ricerca avanzata, a intervenire, migliorandoli, su due fattori importanti per il gradimento e il successo delle auto elettriche: l’autonomia (che promette di far salire a 350 chilometri) e il tempo di ricarica delle batterie (che vuole dimezzare). E l’obiettivo è quello di abbassare addirittura il prezzo a 35.000 dollari.
Al terzo posto Google, già ampiamente nota per il suo motore di ricerca, il browser Chrome, Gmail, Android, Google Maps e per l’avveniristico Google Glass (che alcuni considerano anche troppo invasivo). Finora ha ottenuto i suoi incassi favolosi dalla pubblicità. Ora si avvia a produrre hardware: termostati e sistemi intelligenti di regolazione e controllo che ottimizzano l’uso dell’energia e insieme provvedono al monitoraggio degli ambienti, eliminando rischi ed emergenze.
Al quarto posto Samsung, che ha una quota del 32% del mercato degli smartphone. In quello che un tempo era solo un telefonino, ora abbiamo un computer, un comunicatore, un registratore di immagini e video, un telecomando, una connessione con ogni sorta di realtà virtuali. Moltissime prestazioni, per alcuni di noi quasi eccessive ma, per la maggior parte degli utenti, piuttosto appetibili e gradite. E in questo la Samsung è riuscita ad eccellere.
Al seguito delle prime quattro, tutte le altre industrie più innovative. Per esempio Bmw (nel 2020 dovrebbe produrre auto self-drive), Amazon (al primo posto nell’e-commerce di libri e altro: mira ad assicurare consegne in giornata), Wal-Mart (dai supermercati passa a e-commerce: a Natale, in cinque giorni, ha avuto un miliardo di contatti). E ancora, General Electric (investe 1,5 miliardi di dollari in Internet industriale), Qualcom (predomina nel mercato e progetta connessioni Internet operative fra apparecchiature create da produttori diversi), IBM (il sistema “Watson” realizzerà simbiosi mentali uomo-computer), SpaceX (progetta 14 missioni spaziali per il 2014). Kickstarter (finanzia 55.000 nuove aziende utilizzando un miliardo di dollari di crowdsourcing), Siemens (ha in cantiere aeromotori con pale di 100 metri che producano 10 MegaWatt e che siano concorrenziali con l’energia termoelettrica), Monsanto (progetta molecole di RNA che possano riattivare geni benefici dormienti nel nostro genoma). 
La rivista dell’MIT ha individuato molte altre industrie sconosciute al pubblico, ma ben note agli esperti di punta e ai tecnologi praticanti. Questa analisi evidenzia bene la circostanza che la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico in Nord America, Nord Europa, Asia e Australia stanno portando novità a getto continuo, non più a ondate come avveniva “ai tempi antichi”.
Ma in questa graduatoria di eccellenze innovative, l’Italia manca. Non è una sorpresa. La Commissione europea, nel suo rapporto annuale “Eurobarometro dell’Innovazione” del 2013, ha classificato quattro Paesi leader (Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia), dieci Paesi innovatori di seconda classe, nove moderati (tra cui l’Italia) e quattro scarsi. A ciascuno viene attribuito un numero indice (compreso fra 0 e 1) che fa riferimento a 25 indicatori (numero annuale di nuovi laureati, investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, piccole e medie imprese che producono innovazione di prodotto o di processo, eccetera). La Svezia si colloca al primo posto con l’indice 0,75. La media dei 27 Paesi dell’Unione è di 0,53. L'Italia è a 0,42, al quindicesimo posto) dopo Estonia, Slovenia, Cipro. Tutti sotto la media.
Di queste deprimente situazioni italiana si parla poco in televisione o sui giornali. I segretari e i portavoce dei partiti non propongono interventi che aiutino a ravvivare la creatività delle aziende. Nessuno auspica un’impresa integrata cui partecipino industria, governo, sindacati, università.
Invece si evocano continuamente le riforme. Per la legislazione sul lavoro, per il fisco, per la pubblica amministrazione. E’ vero, la disoccupazione sfiora il 13%, ed è giusto che sia data priorità alla creazione di posti di lavoro. Ma i Paesi europei che eccellono in questo sono anche i più prosperi e – non a caso – i più innovativi. I primi quattro (Svezia, Germania, Finlandia, Danimarca) hanno un prodotto interno lordo pro capite del 25% più alto del nostro che cresce ogni anno di 3 o 4 punti percentuali più di quello italiani. Se innovassimo come loro, il nostro Pil crescerebbe ogni 12 mesi di alcune decine di miliardi di euro. Insomma, buona innovazione significa anche buona salute economica.
Il segreto di questi Paesi all’avanguardia? Produrre tecnologia avanzata in tutti i settori e impiegare addetti ad alto livello professionale. Per tentare (e sperare) di raggiungerli in Italia è urgente la riforma della scuola, prerequisito per innalzare la cultura media. Ce n’è bisogno. Qualche numero? La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è del 20,3%. La media europea del 34,6 %. I Paesi scandinavi sono al 47%, la Francia al 43,4%, il Regno Unito al 45,8 %, l’Irlanda al 49,4. Più in basso dell’Italia c’è solo la Turchia. Anche l’istruzione tecnica superiore è carente: non abbiamo politecnici fondati dalle grandi industrie, ove pure lavorano tecnici di valore che sarebbero adatti a fornire docenze di alto livello.
E, per finire con la sequenza sconfortante dei numeri, l’Italia è carente anche negli investimenti in ricerca e sviluppo: quelli pubblici sono lo 0,53 % del Pil (0,71 della media europea) e quelli privati lo 0,68 % (0,54 della media europea). Un abisso. Invertire la tendenza? Si può. A patto che i governi facciano il loro dovere. E le industrie puntino sull’innovazione.