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lunedì 21 aprile 2014

Roberto Vacca - Chi usa molto Internet perde la fede

“Come Internet sta eliminando la religione in America” titola il 4/4/2014 Technology Review rivista dell’MIT. Cita A. Downey, professore di Scienza dei Dati a Olin College of Engineering, che ha analizzato la  crescita dell’uso di Internet e del numero di quelli che abbandonano la religione. Quest’ultimo parametro deriva da un sondaggio dell’Università di Chicago. A 9000 persone si è chiesto: ”Che religione preferisci? In quale religione ti hanno allevato? Sei laureato? Quanto usi Internet?” Ecco i risultati:

Anno
1990
1995
2000
2005
2010
% senza preferenze religiose
0
10
42
70
72
% senza preferenze religiose
8
11,5
14
15
18

Dal 1990 al 2010 crescono sia gli utenti Internet, sia i non religiosi. La correlazione statistica fra le due variabili è  0,935.
La correlazione misura quanto, in un dato periodo, due fenomeni varino in modo simile: ha il valore 1 se le loro misure sono proporzionali, zero se sono indipendenti e -1 se inversamente proporzionali. Un’alta correlazione non implica che una variabile sia causa dell’altra. È alta la correlazione fra il numero annuo di assassini e quello delle chiese cattoliche, ma non perché nelle chiese si predichi la violenza: i due numeri sono proporzionali alla popolazione. In Italia la correlazione fra il numero di personal computer e quello dei casi di AIDS dal 1983 al 2004 era alta: ben 0,99, ma usare il computer non provoca certo l’AIDS.
Il Prof. Downey dichiara: “So bene che un’alta correlazione positiva non è segno di causalità. I due processi di crescita potrebbero avere una causa comune, anche se né io, né altri l’hanno individuata. Ho usato, però, la regressione statistica per individuare i fattori che hanno contribuito a staccare dalla religione numeri crescenti di persone.”
Il 20 % dei distacchi sarebbe causato dall’uso crescente di Internet. La Rete fornisce, infatti, molte opportunità di informarsi su quel che pensano atei o non religiosi e di interagire con loro. Il 25 % dei distacchi dipenderebbe da cambiamenti nell’educazione religiosa ricevuta. Il 5%, infine, sarebbe dovuto alla maggiore diffusione dell’insegnamento superiore. Nel 1980 laureati e diplomati costituivano il 17% della popolazione americana e nel 2000 la percentuale era salita al 27%. Downey dà per scontato che i religiosi sono più rari fra i laureati. I tre fattori citati spiegherebbero il 50% del calo di religiosità. 
E l’altra metà? Downey arguisce che esista un'altra causa. Non la individua. Prima di indagare quale possa essere, è bene analizzare la qualità dei dati di partenza. I sondaggi non forniscono fatti, ma opinioni in risposta a domande: se queste sono vaghe, tutto rimane ipotetico.
Mio nonno, il poeta Adolfo de Bosis, quando iniziava un dibattito, diceva spesso:
“Cominciamo con il negare i fatti”.
Il fatto studiato qui è la religiosità o appartenenza a una chiesa di chi risponde alla domanda “What is your religious preference?” senza indicare confessione o tempio. Le risposte non chiariscono, però, che cosa le persone credano, che fede accettino, quanto siano fedeli a una gerarchia. 
Andrebbero registrati, invece, fatti: presenze a eventi, firme di impegni, versamenti in denaro, professioni di fede. In mancanza, abbiamo solo ipotesi ragionevoli, come quelle dello stesso Downey che negli Stati Uniti nel 2040 il numero dei non religiosi supererà quello dei cattolici (che regrediranno leggermente) e quello dei protestanti calerà del 10%.

mercoledì 2 aprile 2014

Roberto Vacca - Per creare lavoro: ricerca e sviluppo – non solo flessibilità e riforme

Il 13% dei lavoratori sono disoccupati. Matteo Renzi ha detto ieri: “Occorrono flessibilità e riforme”. Ma non sembra probabile che si creino posti di lavoro solo abolendo Senato e Province e snellendo la pubblica amministrazione.
Proprio oggi la rivista SPECTRUM dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers pubblica una serie di articoli sull’aumento della domanda di ingegneri elettronici. Un uomo chiave Microsoft dice: “Le abilità valgono più delle credenziali accademiche.” Nell’ambiente di Google si parla di Scoiattoli Viola: un paradigma di animali rarissimi che si applica al tipo di ingegneri eccellenti e moderni ai quali il lavoro non manca. Sono specialisti in: cibersicurezza, robotica, tecnologia dell’informazione, software, app mobili, griglie smart, cloud, big data. È vitale che sappiano integrarsi in squadre e che mirino all’eccellenza personale. Sono richiesti non solo in USA, ma anche in Europa e in Asia. 
Per creare  lavoro, dunque, ci vogliono: educazione e istruzione più diffuse e di migliore livello – ricerca scientifica - sviluppo industriale. Le statistiche dimostrano che l’occupazione è più alta ove i livelli di innovazione sono più elevati. La Commissione Europea ha appena pubblicato la classifica al 2013 dei 27 paesi dell’Unione in base al livello di innovazione raggiunto, espresso da un indice (compreso fra 0 e 1) funzione di 25 indicatori (lauree, ricerca scientifica, investimenti pubblici e privati in R&D, brevetti, etc.) L’istogramma seguente illustra la situazione.


In verde: 4 leader (Svezia, Danimarca, Germania, Finlandia) - in celeste,: 10 innovatori di seconda classe, in giallo 11 innovatori moderati e in arancione; 3 innovatori scarsi. La Svezia sta a 0,75. La media dei 27 Paesi sta a 0,55. L'Italia sta fra gli innovatori moderati a 0,44 – al 15° posto su 27  - dopo Estonia, Slovenia, Cipro – tutti sotto la media.
In Italia gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,53 del PIL (0,71 della media europea) e quelli privati sono lo 0,69 del PIL (0,52 della media europea). Questo divario dura da più di 30 anni. Non è solo questione di investimenti, ma di cultura media. La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è in Italia il 21,7%. La media europea è 35,8 %; Irlanda 51,1 %; Cipro, Lussemburgo, Lituania: 50%; UK 47,1%; Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Francia, Belgio: 44%. A livello più basso dell’Italia c’è solo la Turchia.
L’Italia è, dunque, carente nei livelli di istruzione e negli investimenti in ricerca e sviluppo particolarmente nel settore privato.
Diminuire gli investimenti e le spese (che creano lavoro), aumentare le imposte e i tassi di interesse – sono politiche di austerità inopportune: non favoriscono la ripresa e aggravano la depressione.
I 4 Paesi europei più innovatori (Svezia, Danimarca, Germania, Finlandia) hanno un PIL pro capite del 25% più alto del nostro e il loro PIL cresce ogni anno di 4 punti percentuali più del nostro. Se innovassimo come loro ogni anno il PIL crescerebbe di 60 miliardi di Euro, rispetto ai quali certi risparmi di cui si parla molto (pure opportuni)– appaiono trascurabili.
Gli imprenditori, quindi, non hanno ragione di chiedere solo flessibilità negli adempimenti burocratici (che pure ci vuole). Devono raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo e assumere giovani eccellenti che inventino. Devono creare reti di collaborazione con industrie grandi e piccole, italiane e straniere. Lavoro e prosperità si creano studiando e inventando.

Documento della Commissione Europea  “Innovation Union Scoreboard 2014

sabato 1 marzo 2014

Roberto Vacca - L’innovazione brilla altrove

Il presidente della Confindustria Sergio Squinzi lo ripete da tempo, come una litania: «L’Italia non aiuta l’industria». Punta l’indice contro le imposte eccessive e i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e invoca: «Dateci un Paese normale e vi faremo vedere di che cosa siamo capaci». La dichiarazione d’intenti è coraggiosa, il j’accuse comprensibile ma parziale perché, come spesso succede, il circolo è vizioso. Che cosa fa la nostra industria per ringiovanire? La Technology Review del Mit (Massachusetts Institute of Technology) ha stilato una classifica delle 50 industrie più innovative del mondo. Il criterio era semplice e ben preciso: scegliere aziende che negli ultimi 12 mesi hanno sviluppato, con successo, tecniche nuove così importanti da ridefinire interi settori di attività e costringere la concorrenza alla rincorsa per ritarare le propria strategia e conquistare la leadership. E’ significativo che non compaiano aziende come Apple o come Facebook perché l’ottima reputazione, la rapida crescita, la quantità degli investimenti o il numero dei nuovi brevetti non erano parametri sensibili al criterio della classifica. Ma quante sono le industrie italiane presenti nella classifica di Technology Review? Nessuna. E allora vien da pensare che le nostre aziende non possono attendere che venga loro offerto su un piatto d’argento un Paese normale. Dovrebbe impegnarsi loro, qui e ora, a innovare se stesse, aumentando anche gli investimenti in ricerca e sviluppo. Il governo, gli scienziati e gli accademici dovrebbero poi incoraggiarle e aiutarle. Solo così il circolo diventerebbe virtuoso. E il Paese normale. 
Ma al di là delle considerazioni di “strategia economico-politica”, resta il fatto che, quanto a “strategia innovativa”, l’industria italiana brilla per l’assenza, mentre quella del resto del mondo registra successi. La classifica di Technology Review è significativa.
Al primo posto si colloca Illumina, fondata nel 1998 a San Diego, California. Produce macchine per identificare le sequenze del genoma (oltre 3 miliardi di coppie di basi), crea software e offre servizi. La genialità dell’azienda? Ridurre drasticamente i costi. Il genoma umano fu decodificato per la prima volta nel 2000 al costo di 100 milioni di dollari. Nel 2011 scese a 10.000. Nel 2013 Illumina riesce ad abbassarlo fino a 1000 dollari. Un’impresa titanica che rivoluzionerà la medicina, perché si potranno avere nuove diagnosi e cure del cancro e di malattie genetiche senza svenarsi, e anche l’agrigenomica, perché porterà a una nuova rivoluzione verde.
Al secondo posto della classifica c’è Tesla Motors, che si prefigge un obiettivo ambizioso: far diventare l’automobile elettrica un oggetto di normale uso quotidiano. Del lussuoso Modello S, Tesla Motors progetta tutto: motore, batterie, elettronica, software e controlli digitali. Sebbene abbia un prezzo di oltre 100.000 dollari, cioè il doppio della Leaf (Nissan) e della Volt (General Motors), ne vende il doppio. Questo perché è riuscita, grazie alla sua ricerca avanzata, a intervenire, migliorandoli, su due fattori importanti per il gradimento e il successo delle auto elettriche: l’autonomia (che promette di far salire a 350 chilometri) e il tempo di ricarica delle batterie (che vuole dimezzare). E l’obiettivo è quello di abbassare addirittura il prezzo a 35.000 dollari.
Al terzo posto Google, già ampiamente nota per il suo motore di ricerca, il browser Chrome, Gmail, Android, Google Maps e per l’avveniristico Google Glass (che alcuni considerano anche troppo invasivo). Finora ha ottenuto i suoi incassi favolosi dalla pubblicità. Ora si avvia a produrre hardware: termostati e sistemi intelligenti di regolazione e controllo che ottimizzano l’uso dell’energia e insieme provvedono al monitoraggio degli ambienti, eliminando rischi ed emergenze.
Al quarto posto Samsung, che ha una quota del 32% del mercato degli smartphone. In quello che un tempo era solo un telefonino, ora abbiamo un computer, un comunicatore, un registratore di immagini e video, un telecomando, una connessione con ogni sorta di realtà virtuali. Moltissime prestazioni, per alcuni di noi quasi eccessive ma, per la maggior parte degli utenti, piuttosto appetibili e gradite. E in questo la Samsung è riuscita ad eccellere.
Al seguito delle prime quattro, tutte le altre industrie più innovative. Per esempio Bmw (nel 2020 dovrebbe produrre auto self-drive), Amazon (al primo posto nell’e-commerce di libri e altro: mira ad assicurare consegne in giornata), Wal-Mart (dai supermercati passa a e-commerce: a Natale, in cinque giorni, ha avuto un miliardo di contatti). E ancora, General Electric (investe 1,5 miliardi di dollari in Internet industriale), Qualcom (predomina nel mercato e progetta connessioni Internet operative fra apparecchiature create da produttori diversi), IBM (il sistema “Watson” realizzerà simbiosi mentali uomo-computer), SpaceX (progetta 14 missioni spaziali per il 2014). Kickstarter (finanzia 55.000 nuove aziende utilizzando un miliardo di dollari di crowdsourcing), Siemens (ha in cantiere aeromotori con pale di 100 metri che producano 10 MegaWatt e che siano concorrenziali con l’energia termoelettrica), Monsanto (progetta molecole di RNA che possano riattivare geni benefici dormienti nel nostro genoma). 
La rivista dell’MIT ha individuato molte altre industrie sconosciute al pubblico, ma ben note agli esperti di punta e ai tecnologi praticanti. Questa analisi evidenzia bene la circostanza che la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico in Nord America, Nord Europa, Asia e Australia stanno portando novità a getto continuo, non più a ondate come avveniva “ai tempi antichi”.
Ma in questa graduatoria di eccellenze innovative, l’Italia manca. Non è una sorpresa. La Commissione europea, nel suo rapporto annuale “Eurobarometro dell’Innovazione” del 2013, ha classificato quattro Paesi leader (Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia), dieci Paesi innovatori di seconda classe, nove moderati (tra cui l’Italia) e quattro scarsi. A ciascuno viene attribuito un numero indice (compreso fra 0 e 1) che fa riferimento a 25 indicatori (numero annuale di nuovi laureati, investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, piccole e medie imprese che producono innovazione di prodotto o di processo, eccetera). La Svezia si colloca al primo posto con l’indice 0,75. La media dei 27 Paesi dell’Unione è di 0,53. L'Italia è a 0,42, al quindicesimo posto) dopo Estonia, Slovenia, Cipro. Tutti sotto la media.
Di queste deprimente situazioni italiana si parla poco in televisione o sui giornali. I segretari e i portavoce dei partiti non propongono interventi che aiutino a ravvivare la creatività delle aziende. Nessuno auspica un’impresa integrata cui partecipino industria, governo, sindacati, università.
Invece si evocano continuamente le riforme. Per la legislazione sul lavoro, per il fisco, per la pubblica amministrazione. E’ vero, la disoccupazione sfiora il 13%, ed è giusto che sia data priorità alla creazione di posti di lavoro. Ma i Paesi europei che eccellono in questo sono anche i più prosperi e – non a caso – i più innovativi. I primi quattro (Svezia, Germania, Finlandia, Danimarca) hanno un prodotto interno lordo pro capite del 25% più alto del nostro che cresce ogni anno di 3 o 4 punti percentuali più di quello italiani. Se innovassimo come loro, il nostro Pil crescerebbe ogni 12 mesi di alcune decine di miliardi di euro. Insomma, buona innovazione significa anche buona salute economica.
Il segreto di questi Paesi all’avanguardia? Produrre tecnologia avanzata in tutti i settori e impiegare addetti ad alto livello professionale. Per tentare (e sperare) di raggiungerli in Italia è urgente la riforma della scuola, prerequisito per innalzare la cultura media. Ce n’è bisogno. Qualche numero? La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è del 20,3%. La media europea del 34,6 %. I Paesi scandinavi sono al 47%, la Francia al 43,4%, il Regno Unito al 45,8 %, l’Irlanda al 49,4. Più in basso dell’Italia c’è solo la Turchia. Anche l’istruzione tecnica superiore è carente: non abbiamo politecnici fondati dalle grandi industrie, ove pure lavorano tecnici di valore che sarebbero adatti a fornire docenze di alto livello.
E, per finire con la sequenza sconfortante dei numeri, l’Italia è carente anche negli investimenti in ricerca e sviluppo: quelli pubblici sono lo 0,53 % del Pil (0,71 della media europea) e quelli privati lo 0,68 % (0,54 della media europea). Un abisso. Invertire la tendenza? Si può. A patto che i governi facciano il loro dovere. E le industrie puntino sull’innovazione.

sabato 8 febbraio 2014

Roberto Vacca - Fotovoltaico: imminente energia dell’avvenire

Dopo i rapidi e notevoli aumenti del prezzo del petrolio a partire dagli anni Settanta, si associa quasi sempre a ogni considerazione su questioni energetiche la parola “crisi”. Continuano a essere citati disastri planetari visti come imminenti in base a dati incompleti e interpretati in modi erronei. Fra questi: il riscaldamento globale del pianeta attribuito al consumo eccessivo di carbone, petrolio e gas e l’esaurimento dei giacimenti petroliferi. L’avvenire del clima viene vaticinato usando modelli non validati, né validabili. La fine del petrolio è temuta da chi ignora che il livello delle riserve accertate continua a crescere, che l’origine dal petrolio non è biologica e che esistono giacimenti enormi a grande profondità.
Invece le tendenze attuali indicano che avremo energia abbondante, non inquinante, a basso prezzo. Assumerà importanza primaria il fotovoltaico. L’ ottimismo non è dovuto solo alla recente notevole crescita, ma al velocissimo aumento dei rendimenti che, in laboratorio, sono saliti molto oltre il 15% tipico delle celle di silicio cristallino che, appunto, trasformano in elettricità meno di un sesto dell’energia dei raggi solari. Il trend di questo progresso sembra avviato a continuare. I rendimenti di celle fotovoltaiche che concentrano la radiazione solare anche 100 volte, crescono rapidamente. Varie industrie e centri di ricerca [fra cui: le americane Spectrolab, Amonix, Solar Junction, la giapponese Sharp e l’università australiana del South Wales] hanno superato il rendimento del 44% con un costo che si stima possa scendere a poco più di 2 dollari per Watt installato (cui bisogna aggiungere i costi delle infrastrutture e dei convertitori da corrente continua in alternata).
In Germania e in Italia costruttori e utenti hanno installato molto fotovoltaico. Conveniva perché interessanti incentivi statali andavano a chi lo adottava. Le risorse per questi aiuti sono state ottenute aumentando le tariffe agli altri utenti. Quindi il prezzo del kiloWattora in Germania e in Italia è fra i più alti in Europa (vedi tabella in fondo), ma non ha una correlazione significativa con la produzione industriale, né con l’andamento dell’economia in generale.
Ora gli incentivi diminuiscono e la crescita del fotovoltaico rallenterà. Però è stato superata una soglia importante: in Italia la potenza degli impianti per la generazione di energia eolici e fotovoltaici (24.500 MegaWatt) è maggiore di quella installata degli impianti idroelettrici (18.200 MW). Questi possono essere messi in funzione a piacere – in qualsiasi momento – senza vincoli. Gli eolici non danno energia se non c’è vento e i fotovoltaici non ne danno se non c’è il sole. La produzione di energia eolica più solare nel 2012 è stata di 32.269 GigaWattora (GWh). Quella di energia idroelettrica è stata di 43.854 GWh. Al tasso di crescita attuale, il fotovoltaico supererà l’idroelettrico entro un paio d’anni.
L’energia solare è tanto abbondante che per soddisfare il fabbisogno mondiale, basterebbe trasformare in elettricità anche solo col rendimento dell’1% la radiazione solare che incide sui deserti. Perché, allora, non si risolvono tutti i problemi energetici sfruttando celle foto-voltaiche? Perchè le celle foto-voltaiche sono ancora costose e il loro rendimento è ancora basso. 
Il costo per installare 1 kiloWatt di potenza elettrica fotovoltaica è di 3.000 €. Quello per installare 1 kW idroelettrico o termoelettrico è poco più di 1.000 €. Alle nostre latitudini il sole trasmette a ogni m2 di superficie terrestre una potenza di circa 1.000 Watt. Le celle fotovoltaiche producono, quindi, circa 150 Watt/m2. Se coprono 1 km2 , producono 150 MegaWatt per 2.000 ore l’anno: cioè 300 GigaWattora. Gli impianti termoelettrici italiani hanno una potenza di 80 GigaWatt (equivalenti a 80 grandi centrali nucleari) e funzionano in media 2.700 ore l’anno producendo 220 TWh (TeraWattora = migliaia di GigaWattora). Sostituendoli col fotovoltaico, si risparmierebbero gas e carbone. La potenza richiesta sarebbe di 110 GW [80 GW x (2700/2000)] e l’area occupata (con rendimento attuale del 15%) di 730 km2  sarebbe (circa il 2,4 per mille di quella del Paese): ingombrante, ma non impensabile. L’impresa richiederebbe un investimento di 330 miliardi di € solo per i pannelli fotovoltaici a cui vanno aggiunte le infrastrutture e i sistemi per immagazzinare l’energia (prodotta quando c’è il sole e utilizzata anche quando non c’è). a questo scopo si possono usare batterie e si può pompare l’acqua dai bacini bassi ai laghi e a nuovi invasi a quote alte degli Appennini e delle Alpi. Abbiamo già oltre 7 GW di impianti di pompaggio; ne andrebbero costruiti altri e andrebbero riprogrammate le attività industriali e civili per ripartire la potenza nel tempo.
Destinando al pompaggio la metà della potenza fotovoltaica, cioè 55 GW, il costo delle centrali necessarie sarebbe di 55 miliardi di euro. Valutando in 2 ore/giorno il tempo in cui la potenza fotovoltaica va immagazzinata, l’energia prodotta richiederebbe in alternativa 110 GWh di batterie al litio con un investimento di 55 miliardi di €  [500 €/kWh] dello stesso ordine di quello per le centrali di pompaggio. Con batterie al sale (che paiono imminenti) l’investimento in batterie si ridurrebbe al 40%. Possiamo stimare, per ora. che l’investimento totale debba essere circa di: 400 miliardi di €: un sesto del PIL.
Se il rendimento del fotovoltaico arrivasse al 40%, l’area occupata sarebbe di 270 km2 (meno dell’1 per mille di quella del Paese) e si occuperebbero anche le aree liberate dagli impianti termoelettrici dismessi. Si può anche pensare, con maggior fantasia, a coprire la superficie dei bacini idroelettrici con zattere coperte da pannelli fotovoltaici. Ho fatto il conto sulle centrali abruzzesi di Provvidenza, S. Giacomo e Montoro (900 MW di potenza) alimentate dal lago di Campotosto (superficie di 10 km2). Con la tecnologia attuale, le celle sul lago produrrebbero 1,5 GW e con un rendimento del 40%, 4 GW – oltre 4 volte di più della potenza idroelettrica. 
Il rendimento massimo teorico è  n = 1–(T2/T1) = 1 – (293/6000) = 0,951, ove T2  è la temperatura ambiente (293°K = 20°C) e T1 (6000°K) è la temperatura della superficie solare. Il fisico inglese P.T. Landsberg  ha dimostrato nel 1977 che il rendimento massimo teorico è del 93,3 %.
L’iniziativa più urgente è investire in ricerca e sviluppo per realizzare celle fotovoltaiche con rendimenti crescenti – a costi accettabili. La Commissione Europea dovrebbe indire gare e arruolare le aziende europee hitech. I governi dei 27 Paesi dell’Unione dovrebbero appoggiare energicamente questa impresa raggiungibile e risolutiva.

Tabelle

Prezzo energia elettrica in alcuni Paesi europei (2012) - Fonte: EUROSTAT
Paese
€/kWh usi domestici
€/kWh usi industriali
Media EU27 0,197 0,118
Danimarca 0,297 0,099
Germania 0,268 0,130
Italia 0,230 0,199
Francia 0,145 0,079
Romania 0,108 0,014

Energia prodotta in Italia da fonti rinnovabili - Fonte: TERNA
Anno
Fotovoltaico GWh
Eolico GWh
Fotovolt + eolico GWh
Idroelettrico GWh
2007 39 4034 4073 38481
2008 193 4861 5054 47227
2009 676 6543 7219 53443
2010 1905 9127 11032 54407
2011 10795 9857 20652 47767
2012 18862 13407 32269 43854

sabato 25 gennaio 2014

Roberto Vacca - Partecipazione mirata vs crowdsourcing casuale

Opinionisti, politologi e politici dibattono su importanti decisioni economiche e politiche, ma ne trattano aspetti astratti o burocratici contribuendo a ritardarle. Parlano di riformare leggi elettorali, strutture, giustizia; etica, prebende e stipendi spropositati; abolire privilegi della casta; colpire corruzione, collusioni. Parlano di creare lavori in cultura (quale?), turismo, agricoltura, cibo e anche ICT – ma non menzionano i lavori in alta tecnologia.
Sono ignorate o nominate di sfuggita, le riforme sostanziali: quadruplicare investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, migliorare e finanziare di più le scuole, redimere dal degrado i mezzi di comunicazione di massa e fare in modo che giornali, radio e TV diffondano conoscenza del mondo invece di irrilevanze. Abbiamo bisogno di aiuto, ma non arriva. Sedicenti pensatori o capi spirituali parlano e scrivono di problemi marginali. Non studiano. Non vedono come sta cambiando il mondo, nè come potrebbe cambiare - in meglio.
Si sta diffondendo l’idea che aiuti decisivi all’innovazione possano venire dalla partecipazione dei cittadini - del pubblico. Se si riuscisse ad arruolare grandi numeri di cittadini, sostiene taluno, si arriverebbe a soluzioni sane, eque e intelligenti. In inglese si chiama “crowdsourcing” – la risorsa della folla.
In Germania esiste da molti decenni la co-gestione (Mitbestimmung): rappresentanti dei lavoratori siedono nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e partecipano a decisioni importanti su investimenti e pianificazioni. Anche i sindacati aziendali (non nazionali) funzionano bene. In Italia è raro che si discuta di piani radicalmente innovativi. Vengono formulati e realizzati in alta tecnologia e ICT da alcune (poche) imprese grandi e medie. Queste andrebbero pubblicizzate ampiamente e additate ad esempio, non ignorate od osteggiate.
Si diffonde, purtroppo, la nozione che una partecipazione vasta sia ricetta valida per ottimizzare piani e decisioni. Si propone perfino che i partecipanti siano scelti a caso onde evitare favoritismi. Si è proposto che i partecipanti siano “stratificati”. cioè presi dalle varie categorie nelle stesse proporzioni in cui sono presenti nella popolazione in generale (avvocati, tecnici, medici, carrozzieri, impiegati, etc.). Occorre, invece, selezionare persone che superino adeguate soglie di competenza e che continuino a essere addestrate nelle discipline, nozioni e strumenti opportuni. Addestramento e diffusione di cultura devono messere perseguiti per vie ben diverse da quelle dei promotori e dei pubblicitari. Non si deve mirare a inculcare slogan. Per disseminare conoscenza bisogna averla – e si ottiene studiando. Non vanno usati linguaggi scheletrici. Servono descrizioni e analisi chiare, non ripetizione di “catchword” [neologismi di moda] presi in prestito ovunque senza discriminazione. I cittadini possono capire quali siano le scelte migliori con studi, ragionamenti e confronti. Non devono essere indotti a uniformarsi a conclusioni improvvisate, magari espresse in tweet.
Occorre valutare e controllare la qualità: prescrizione alla base dei successi della tecnologia, dell’innovazione, dell’alto rendimento di gruppi umani organizzati. Diffondere conoscenza non è un lavoretto facile da realizzare in pillole, slogan, icone, schemini, video. 
Il crowdsourcing somiglia alla così detta democrazia della rete o “net democracy”. Taluno sostiene che sarebbe meglio della democrazia parlamentare e presenta proposte politiche appoggiate dal “voto-sondaggio” di alcune migliaia di affiliati. Questi dovrebbero rappresentare efficacemente le opinioni di qualche milione di votanti – una “maggioranza” ora silenziosa. Richiama alla mente il racconto di fantascienza dei sondaggisti USA che individuano lo Stato, poi la città, poi la circoscrizione elettorale e, infine, il singolo cittadino che da decenni ha sempre votato per l’assessore, il sindaco, il congressman, il senatore, il presidente che poi veniva eletto. Propongono che quel cittadino decida lui chi dovrà essere il prossimo Presidente USA, evitando gli oneri di una inutile campagna elettorale-
Il mezzo non è il messaggio. I messaggi seri, interessanti, utili non si improvvisano. Aiutare il pubblico e i giovani ad acquisire buoni criteri di giudizio è meritevole e necessario - e anche la scuola lo sta facendo troppo poco.

martedì 14 gennaio 2014

Roberto Vacca – Tagliati investimenti pubblici migliori ...e si parla d’altro

Il Governo italiano riduce ancora gli investimenti in ricerca. Tende ad allinearsi con il privato - gli industriali che investono in ricerca e sviluppo poco più di metà di quanto fanno in media i paesi europei, mentre finora il pubblico stava al 70% della media europea.
Dal 2000 al 2005 lo Stato investiva 130 milioni di euro all’anno nel programma nazionale di investimenti in ricerche liberamente proposte in tutte le discipline da università e da enti pubblici di ricerca. I fondi per questo Programma di Ricerche di Interesse Nazionale (PRIN) scendevano a 106 milioni nel 2009, 85 nel 2011 e 38 nel 2012. Ora pare stiano per essere annullati e conglobati in quelli (minimi) per finanziare i ricercatori precari.
Di questa situazione “bestiale e indiscreta” (per usare le parole di un agiografo spagnolo medioevale) non parlano i giornali, né i politici. Menzionano più spesso i 14 milioni e mezzo che il Ministero per i Beni Artistici e Culturali ha trovato per comprare e iniziare a riparare la disastrata Reggia borbonica di Carditello. Questa iniziativa è certo meritoria, ma molto meno urgente di quelle per la ricerca. Sembra che sia considerato virtuoso l’ignorare che l’economia prospera e la disoccupazione cala nei paesi che investono in ricerca e sviluppo quattro o cinque volte più di noi. 
Come dico sopra nel primo capoverso, l’inadeguatezza degli imprenditori privati è ben maggiore di quella dei poteri pubblici. Anche di questo parlamentari e funzionari dei partiti non si rendono conto. 
Nei loro dibattiti e nelle loro consultazioni discutono di: unioni civili e matrimoni fra omosessuali; tasse sui giochi d’azzardo (giusta); restituzione agli insegnanti di scatti d’anzianità che hanno ricevuto per (deplorevole) errore; data di esazione della mini IMU; desiderabile salvataggio dei due fucilieri di marina indebitamente detenuti in India.
Sono tutte questioni rilevanti – e alcune di esse sono state messe sul tappeto molto recentemente. È più vitale e urgente eliminare la vergogna nazionale, che dura da molti decenni, delle scarse risorse dedicate da istituzioni e imprenditori a università, scienza, ricerca e sviluppo.
Sono temi importanti e seri. Sentiamo parlare, invece, di astrattezze e di battibecchi con discorsi, tweet e blog pieni di tropi volgari. Fra questi: “marchette”, “mal di pancia”, “battute”, “assalti alla diligenza” – e non ne cito altri scatologici e penosi. 
È triste e tragico che sia negletta la cultura tecnico-scientifica. Però è urgente che anche la cultura letteraria e l’uso corretto della lingua siano coltivati. Parlare e scrivere chiaro aiuterebbe a pensare chiaro.

sabato 21 settembre 2013

Roberto Vacca – Migliorare salute e sanità

Anticamente i medici cinesi venivano pagati dai pazienti che stavano bene, se si ammalavano, non pagavano più. L’incentivo era rozzo. Dovremmo inventare incentivi non solo per i medici: per noi tutti. Oggi le spese mediche stanno crescendo molto. I livelli attuali sono elencati in tabella:


Paese
Mortalità ‰
Spese sanitarie
annue pro capite ($)
Spese sanitarie
annue totali (G$)
USA
   8,1
   8000
   2512
Francia
   8,6
   3700
     222
UK
   8,8
   3129
     188
Italia
   9,7
   2870
     172

Sarebbe possibile ridurre di molto queste spese e la mortalità aumentando la durata media della vita. Basterebbe che tutti:
·        non fumassero,
·        mangiassero meno,
·        non bevessero troppo alcol,
·        facessero più esercizio fisico. 
È ridicolo che non ci pensino da soli a seguire queste regole. Lo sostiene Esther Dyson nel suo manifesto HICCup [Health Initiative Coordinating Council = Consiglio per il Coordinamento delle Iniziatuve per la Salute] appena pubblicato. Si rivolge alle amministrazioni locali: municipalità con meno di 100.000 abitanti, ma si attende che la sfida di ridurre le spese sanitarie sia raccolta da investitori privati.
In una città americana di 100.000 abitanti la spesa sanitaria annuale è di 800 milioni di dollari. Si risparmierebbero 80 milioni all’anno, se tutti seguissero le regole elencate sopra Per ottenere questo risultato occorre una campagna promozionale pervasiva e personalizzata (ad esempio con cartelli al piano terreno che ricordano di non prendere l’ascensore). L’iniziativa costerebbe milioni. un investitore che se la accollasse potrebbe lucrare poi per anni una parte dei risparmi nella sanità. Organizzare questa ripartizione di oneri e di introiti futuri è la parte più critica dell’impresa.
Dyson sostiene che un milione e mezzo di morti in USA [sul totale di 2,5 milioni] potrebbero essere evitati ogni anno diffondendo sani stili di vita. 

Cause
Numero morti annuali
evitabili USA
Fumo
   467.000
Pressione alta
   395.000
Obesità
   216.000
Scarso esercizio fisico
   191.000
Glicemia
   190.000
     Totale morti evitate
1.459.000

Evitare un milione e mezzo di morti all’anno rappresenta un limite superiore ideale. Se questo accadesse, la mortalità USA scenderebbe a 3 ‰ livello sotto il quale – secondo la CIA – si trovano solo: Bahrain, Giordania, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. C’è d dubitare che quelle statistiche siano affidabili.
Esther Dyson ha individuato un problema risolvibile e un modo per risolverlo, basato sul desiderio di investitori di realizzare profitti. È ragionevole. Ciascuno di noi dovrebbe occuparsi ragionevolmente di organizzare almeno la propria salute.
Ciascuno di noi – e anche Esther Dyson - dovrebbe ricordare che siamo tutti minacciati dalla distruzione totale per mezzo di 5 miliardi di tonnellate di alto esplosivo equivalenti al potenziale delle armi nucleari ancora esistenti negli arsenali. Lo ripeto come Catone ripeteva:”Coeterum censeo Carthagi delenda est.

venerdì 6 settembre 2013

Roberto Vacca – Guerre ingiustificate e diritto ignorato

Non aveva commesso un reato contro l’umanità Gavrilo Prinzip quando assassinò il granduca Ferdinando a Serajevo nel 1914. Non aveva commesso (ancora)  reati contro l’umanità  Hitler quando nel 1939 annesse alla Germania vari territori di confine finendo con attaccare la Polonia per Danzica. Queste  due violenze segnarono l’inizio delle prima guerra mondiale – 24 milioni di morti – e della seconda – 70 milioni di morti. 
Ora Obama (insignito del Nobel per la Pace senza merito, se non di promesse di disarmo nucleare, poi non mantenute) sostiene che  il regime siriano ha commesso un grave reato contro l’umanità. Ha usato gas nervino per uccidere 1400 suoi cittadini. Il presidente USA si ritiene giustificato  nell’attaccare l’esercito siriano con missili mirati. Molti governi hanno negato che gli USA abbiano questo diritto. Lo nega la Carta dell’ONU (stilata a San Francisco nel 1945). Hanno diffidato Obama dal compiere un atto di guerra ingiustificato che potrebbe scatenare conflitti più vasti con centinaia, forse migliaia di morti.
Queste considerazioni si basano sul senso comune: male usare gas contro i propri cittadini – peggio rischiare di scatenare LA guerra, Ce ne sono altre più forti. Sono basate sul diritto internazionale e su un principio fondamentale che è disatteso da 68 anni, che nessuno cita mai e che molti ignorano. 
Il 7 Agosto 1945 – due giorni dopo la bomba A di Hiroshima, e il giorno prima di quella di Nagasaki -. i plenipotenziari dei governi di Francia, Inghilterra, USA e URSS firmarono a Londra un Protocollo che stabiliva un nuovo principio di diritto internazionale:
“La sola preparazione della guerra totale costituisce un reato internazionale contro la pace e l’umanità”.
Questo Protocollo fu utilizzato solo per condannare Rudolf Hess, il gerarca nazista che aveva preparato la guerra nazista, ma non aveva partecipato. Era scappato in Inghilterra pilotando il suo aereo. Fu condannato e morì vecchio nel carcere di Spandau
Il testo del Protocollo manifestava un intento sensato e meritevole, ma in 7 decenni non è stato fatto nessun tentativo di applicare questo principio. Una guerra combattuta con bombe termonucleari sarebbe migliaia di volte più “totale” e distruttiva della Seconda Guerra Mondiale. Dopo il disarmo parziale raggiunto in parecchi anni di negoziati, il potenziale distruttivo totale degli arsenali nucleari è oggi di 700 kilogrammi di alto esplosivo [1] per ciascuno di noi. 
I presidenti dei paesi che hanno ammassato armi capaci di distruggere il nostro mondo, sono  colpevoli  di  un  gravissimo, estremo  reato  internazionale contro la pace e l’umanità. Dovrebbero essere deferiti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Sono i presidenti di: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia (le 4 nazioni che originariamente avevano firmato il Protocollo), Cina, India, Pakistan e, forse, Israele e Nord Corea.
È sfrontato il Presidente USA  ad accusare i siriani, mentre è prima facie colpevole di un reato ben più grave. Da 40 anni pubblico la proposta di incriminare i capi degli Stati che hanno armi nucleari, ma nessuno ascolta. La Corte dell’Aja mi rispose che accettano denunce solo se presentate da governi: non da individui. Individuiamo almeno un governo che presenti denuncia alla Corte dell’Aja.
Fermiamo chi voglia iniziare azioni belliche forse capaci di scatenare la guerra totale finale – di distruggere il Mondo.
____________________________________________

[1] 1 kg di alto esplosivo (PETN, pentaeritroltetranitrato) esplode producendo energia di 1,6 kWh. 700 kg di PETN per ogni essere umano svilupperebbero più di 1000 kWh, cioè un milione di volte di più dell’energia, elettrica o meccanica sufficiente a uccidere un uomo, che è di circa 1 Wh

domenica 2 giugno 2013

Roberto Vacca - Riforma vitale ignorata e risparmi di centesimi!

L’Italia diventa povera perché non fa abbastanza ricerca. Si piange sulla disoccupazione che sale tragicamente, ma non si dice che l’occupazione è più alta ove i livelli di innovazione sono più elevati. La Commissione Europea pubblica i dati 2012 la classifica al 2012 dei 27 paesi dell’Unione in base al livello di innovazione raggiunto, espresso da un indice (compreso fra 0 e 1) funzione di 25 indicatori (lauree, ricerca scientifica, investimenti pubblici e privati in R&D, brevetti, etc.)
L’istogramma è molto simile a quello del 2012.
In verde: 4 leader (Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia) - in celeste,: 10 innovatori di seconda classe, in giallo 9 innovatori moderati e in arancione; 4 innovatori modesti. La Svezia sta a 0,75. La media dei 27 Paesi sta a 0,53. L'Italia sta fra gli innovatori moderati a 0,42 – come l’anno scorso al 15°  posto su 27  - dopo Estonia, Slovenia, Cipro – tutti sotto la media.
In Italia gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,53 (nel 2011 erano 0,54) del PIL (0,71 della media europea) e quelli privati sono lo 0,68 (nel 2011 erano 0,71 %) del PIL (0,54 della media europea). Questo divario dura da 30 anni. Non è solo questione di investimenti, ma di cultura media. La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è in Italia il 20,3%. La media europea è 34,6 %, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia 47%, Francia 43,4%, UK 45,8 %, Irlanda 49,4 %. A livello più basso dell’Italia c’è solo la Turchia.
L’Italia è, dunque, carente nei livelli di istruzione e negli investimenti in R&D particolarmente nel settore privato.
Diminuire gli investimenti e le spese (che creano lavoro), aumentare le imposte e i tassi di interesse – sono politiche di austerità inopportune: non favoriscono la ripresa e aggravano la depressione.

La tavola seguente mostra, insieme al livello di innovazione, il tasso di crescita relativo. Per l’Italia è poco meno del 3% - più basso di quello di Slovacchia, Malta e delle Repubbliche Baltiche.La tavola seguente mostra, insieme al livello di innovazione, il tasso di crescita relativo. Per l’Italia è poco meno del 3% - più basso di quello di Slovacchia, Malta e delle Repubbliche Baltiche.


In Italia mass media e dibattiti politici non menzionano questi dati. Sarebbe urgente la riforma vitale che portasse l’industria a triplicare gli investimenti in Ricerca e Sviluppo spinta a farlo dal Governo. Invece non se ne parla nemmeno. Si discute di riforme formali, come l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Si commentano con favore piccoli risparmi: un milione per aver reso sobria la parata del 2 Giugno e 500 milioni di finanziamenti pubblici ai partiti – da ridurre gradualmente [ma già il referendum del 1993 li aveva aboliti, per vederli tornare un anno dopo]. 
I 4 Paesi europei più innovatori (Svezia, Germania, Finlandia, Danimarca) hanno un PIL pro capite del 25% più alto del nostro e il loro PIL cresce ogni anno di 4 punti percentuali più del nostro. Se innovassimo come loro ogni anno il PIL crescerebbe di 60 miliardi di Euro, rispetto ai quali i risparmi citati – pure opportuni – appaiono trascurabili. Il baratro di cui parlava il Presidente della Confindustria, dipende non solo da imposte alte e da ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, ma anche dalla critica e triste situazione che ho descritto. Smettiamo di scavare baratri.

sabato 27 aprile 2013

Roberto Vacca - Democrazia e partecipazione

La democrazia è la peggiore forma di governo – eccetto per tutte le altre forme che sono state provate di tempo in tempo [che sono ancora peggio]” – disse Winston Churchill alla Camera dei Comuni l’11 novembre 1947.
Chi ha vissuto al tempo del fascismo ricorda che allora si stava peggio. Poca cultura (tranne eccezioni note e quasi mai dovute al regime) – giustizia coartata – libertà assente – decisioni governative improvvisate e sbagliate che portarono al disastro. Ora viviamo in democrazia e vediamo bene i difetti del sistema cui alludeva Churchill. Non dimentichiamo, però, i guai più gravi che conseguirebbero a innovazioni che aboliscano la elezione di rappresentanti senza vincolo di mandato (v. Art.67 della Costituzione). Le maggioranze bulgare del 99% puzzano orrendamente. Taluno mira a realizzarle qui oggi e vorrebbe anche vincolare i deputati con votazioni/sondaggio fatte via Internet, ma non sa definire modi di prevenire brogli e messaggi falsi. Si parla di una democrazia non fatta col voto, ma con la partecipazione diretta. Questa è un’idea che suona attraente, ma è illusoria: chi partecipa può farlo solo con le conoscenze e le competenze che ha. Se sono troppo scarse, procede a caso.
Anche se leggi e mozioni in Parlamento talora sono confuse, sono scritte seguendo regole funzionanti. Chi le propone ha il dovere di renderle univoche e comprensibili. La partecipazione a blog o social network si esprime, invece, con testi corti, “tanto si sa di che cosa stiamo parlando”. Le implicazioni inespresse sono manipolabili e portano a polemiche. La media dei cittadini non ha cultura adeguata a decidere questioni che abbiano aspetti tecnici, legali, costituzionali, scientifici. Neanche i deputati sono tutti esperti: dovrebbero studiare e chiedere aiuto a esperti credibili. 
Sarebbe meno rischiosa la cogestione aziendale da parte dei dipendenti. Ha il vantaggio che i lavoratori sono chiamati a partecipare a decisioni su argomenti di cui hanno conoscenza diretta. È cominciata in Germania (Mitbestimmung) ed è adottata, ma non generalmente anche in Svezia, Olanda e Repubblica Ceca. 
È ingenua l’idea che con Internet ed e-mail risolveremmo ogni problema politico di informazione, correttezza, ottimizzazione delle decisioni, tempestività. Potremmo solo aprire canali su cui tutti ricevano informazioni e notizie – ma questi ci sono già. Poi chiunque potrebbe esprimere pareri o voti – di scarso valore se sono pilotati da riassuntini e twitter che ha appena ricevuto.
Allego estratto di un mio articolo di 12 anni fa, scritto durante il Terzo Global Forum sull’E-Government, tenutosi a Napoli nel Marzo 2001, in cui sostenevo che l’uso di reti telematiche è opportuno per diffondere conoscenza – non come strumento politico. Credo abbia ancora qualche interesse

GLOBAL FORUM SU E-GOVERNMENT - IL MATTINO 13/3/2001
Saremmo tutti anarchici, se l'anarchia funzionasse anche con i grandi numeri. Invece non funziona e la vita associata di milioni di persone ha bisogno di strutture, registrazioni, imposte, leggi e anche di regolamenti. Non sempre questi vincoli sono studiati e applicati bene. I casi in cui ci opprimono troppo sono ben noti a ciascuno - e sono stati descritti in modo angoscioso da tanti scrittori.
Dispiace che gruppi di giovani, certo animati da buone intenzioni, manifestino contro fattibili innovazioni informatiche. Credo che abbiano capito male e che immaginino strutture miranti a rafforzare le disparità, a favorire chi ha più familiarità con la tecnologia ed è più ricco, ad asservire il nostro Paese a nazioni più avanzate. Uno degli obiettivi, invece, è proprio la riduzione del divario fra paesi ricchi e poveri. Ma i disinformati temono eventi non pericolosi e non pensano nemmeno ai rischi veri.
Io credo che sia opportuno riprogettare e modernizzare (certo! ricorrendo alla tecnologia) i grandi sistemi pubblici e privati in modo integrato per cooperazione fra governi, banche, aziende e scuole. Il fine non è quello di ricreare un'economia di tipo sovietico, ma un'arena in cui discutere le priorità della società per offrire agli utenti scelte più variate a livelli di qualità più alti. Ciò richiede che si addestri anche il pubblico: è in questa direzione che l'impegno è ancora inadeguato. In tutta Europa, e in Italia peggio, mancano esperti in reti telematiche nei settori di progetto e pianificazione, realizzazione, manutenzione e gestione. Uno studio commissionato da CISCO e redatto da International Data Corporation stima che nel 2002 la carenza in Europa occidentale sarà di 600.000 addetti (di cui 60.000 in Italia). Altro studio analogo condotto da Accenture è più pessimista e indica per l'anno prossimo la carenza in Europa in 2 milioni di esperti. I rischi implicati da questa situazione sono ovvi. Mentre i nuovi strumenti telematici e in generale di alta tecnologia innalzano i rendimenti di ogni attività umana e, quindi, offrono una migliore qualità della vita, un eventuale strozzatura nel loro sviluppo dovuta alla mancanza di esperti in numero sufficiente, vanificherà sviluppi positivi e manterrà il nostro Paese a un livello di sviluppo basso e antiquato. Anche peggiore sarà la situazione di paesi che cercano di emergere e che noi stessi non saremo in grado di aiutare. 
Ogni innovazione di funzioni del Web  deve essere supportata da piani concreti per creare con urgenza molte scuole avanzate in cui ai nostri giovani si insegnino ad alto livello scienza, informatica, alta tecnologia.
La ricerca e la tecnologia moderne ci hanno allungato la vita, ci hanno dato occasioni (non immaginate fino a tempi recenti) di scelte non solo pratiche e utilitarie, ma anche culturali e spirituali. È un falso altruista chi le rifiuta in nome di una vita semplice e bucolica, ma disastrata per troppi individui mantenuti nell'ignoranza e privi di scelte ed esposti a flussi di informazione precotta e fornita sotto forma di slogan.

sabato 30 marzo 2013

Roberto Vacca - Contro la crisi: investire in scuole, ricerca, infrastrutture

Non si esce dalla crisi discutendo di austerità, rappresentando il deficit come una minaccia mortale, né proponendo di controllare le spese in caramelle. 
Le notizie negative su produzione industriale e prodotto nazionale in calo indicano quali siano le misure necessarie: far crescere la domanda creando occupazione  e a questo scopo:

  • investire in infrastrutture, notoriamente antiquate e difettose
  • investire in ricerca e sviluppo (soprattutto da parte delle aziende)
  • investire in scuole professionali avanzate e insegnare Internet a tutti (non solo la patente europea di computer – ma l’uso della Rete.

Invece si pensa a ridurre ogni spesa, anche quelle più costruttive e ci si concentra anche su risparmi, certo opportuni, ma di entità minima. Queste idee le ha pubblicate oggi sul New York Times Paul Krugman, l’economista contemporaneo più acuto e profondo (è anche Premio Nobel, ma quello è un dettaglio). Lo leggerete probabilmente domani su Repubblica.
Krugman combatte la destra americana che teme ancora l’ìmpennata dei tassi di interesse – che non si verifica affatto e mira a ridurre le spese sociali, per la sanità e per le scuole.
Gli USA vanno meglio dell’Europa, ma non abbastanza. Le ricette di Krugman hanno solide basi scientifiche, ma sono caratterizzate anche da un buon senso facilmente comprensibile da chiunque.
Leggetele e poi scrivete ai deputati e senatori per cui avete votato invitandoli a meditarle e ad agire subito. Purtroppo in qualche caso sorge il dubbio che alcuni eletti siano in grado di leggere e capire bene: studiamo ed esortiamoli a studiare.

lunedì 11 marzo 2013

Roberto Vacca - Finanziamenti, olocausto nucleare: i numeri

È giusto che lo Stato finanzi i partiti? Certo che no. 
Infatti nel 1993 il 90% degli italiani votò a favore del referendum (promosso dal Partito Radicale) che abrogava il finanziamento pubblico ai partiti. 
Però già nel dicembre 1993 il Parlamento approvò un’altra legge per il rimborso delle spese elettorali ai partiti.
Questo veniva calcolato in 5 €  per voto ricevuto, ma le spese da rimborsare (non rendicontate) sono state molto inferiori ai rimborsi.
Oggi si dibatte fra partiti, e dentro i partiti, se vadano aboliti questi rimborsi. Il 90% dei votanti molto probabilmente è ancora a favore dell’abrogazione. Le discussioni sono inane. Ma guardiamo i numeri. 
Di che cosa si sta discutendo? 
Cito a memoria – sbagliando di poco: gli ordini di grandezza sono questi. 
Prodotto interno lordo (PIL) italiano - 1.600 miliardi di € 
Bilancio dello Stato - 500 miliardi di € 
Rimborsi elettorali - 200  milioni di € 
Dunque i rimborsi elettorali da abolire equivalgono a un centesimo dell’1% [cioè a un decimillesimo] del PIL e a 3 centesimi dell’1% del Bilancio dello Stato. 
È una somma grossa, ma non sconvolgente. Inopportuna, ma non rovinosa. Non è quella che taglia le gambe al Paese.
Passo ad argomento ben più (cento volte più) vitale. Gli investimenti totali (pubblico + privato) in ricerca e sviluppo sono di circa 20 miliardi di € annui – percentualmente sono 2 ordini di grandezza più grandi. 
Si tratta di poco più di 1 centesimo del PIL (non di decimillesimi). Questi investimenti dovrebbero essere triplicati: dando forza alla nostra industria e alla nostra economia. Contribuirebbero a innalzare il livello professionale e culturale della nostra forza lavoro – e della popolazione. 
Le prime pagine dei giornali, le televisioni, i dibattiti pubblici non ne parlano. 
È segno grave di degrado culturale.
C’è un altro segno grave di cui non si parla affatto. Tre giorni fa il governo della Corea del Nord dichiara che la tregua delle guerra coreana dopo 60 anni è scaduta. La Nord Corea ritiene di esser minacciata di annientamento da parte di Sud Corea e USA e afferma il suo diritto di attaccare con missili nucleari sia la Corea del Sud, sia gli Stati Uniti. I pochi che ne hanno scritto, asseriscono che il dittatore Nord Coreano non lo farà mai. Non ci riuscirebbe. Verrebbe annientato. 
Dovremmo esserne ben più sicuri, parlarne, cercare rimedi, assicurazioni. Dovremmo propugnare il disarmo nucleare totale. Qui non si tratta di minime percentuali della nostra ricchezza. Se proliferasse una guerra nucleare, distruggerebbe le nostre risorse e le nostre vite.
Si sveglia nessuno?

domenica 26 agosto 2012

Roberto Vacca - Senza ricerca e sviluppo: crescita non credibile

Sembrano vecchie di cent’anni le decisioni raggiunte dal Consiglio dei Ministri del 24 agosto 2012. L’obiettivo principale era la crescita economica, però, i documenti finali non menzionano nemmeno ricerca scientifica e sviluppo tecnologico, sebbene le statistiche degli ultimi decenni mostrino che cresce di più il Prodotto Interno Lordo dei paesi più innovativi.
Questa dipendenza è confermata dalla tabella seguente che riporta per il 2011 la crescita % del prodotto interno per l’Italia (che sta al 15° posto) e per i 5 Paesi europei in testa alla classifica dell’innovazione in termini di lauree, ricerca scientifica, investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, brevetti, percentuale di piccole e medie imprese innovative, bilancia tecnologica, etc.

Paese
Svezia
Germania
Finlandia
Francia
Danimarca
Italia
Crescita % PIL 2011
3,9
3,0
2,7
1,7
0,8
0,4

Crescita % PIL 2011 per i 5 Paesi europei più innovatori e per Italia Fonte: Eurostat

Le antiquate strategie annunciate dal Consiglio dei Ministri riguardano interventi in: opere pubbliche, semplificazioni per la creazione di nuove aziende, valorizzazione di siti archeologici, protezione dalle frane, rispetto delle regole, lotta contro corruzione ed evasione fiscale, miglioramento dei rapporti fra pubblico e privato, nuove regole per la valutazione dei docenti, assunzione di 12.000 docenti per le scuole medie e superiori. Anche questi sono obiettivi meritevoli di attenzione, anche se alcuni sono un po’ vaghi. Ad essi è stata  rivolta in passato qualche attenzione che manca, invece, alla scienza e alla tecnologia.
Propongo al Governo la lettura di quanto scrivevo su queste pagine virtuali il 9 Maggio u.s.
In Italia gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,54 % del PIL (nel 2010 era 0,58 %) che corrisponde allo 0,71 della media europea; quelli privati sono lo 0,71 % del PIL (nel 2010 erano 0,65 %) che corrisponde allo 0,57 della media europea. Questo divario dura da 30 anni. Non è solo questione di investimenti, ma di cultura media. La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è in Italia il 20%. La media europea è 33 %, Danimarca e Norvegia 47%, Svezia e Finlandia 45%, Francia e UK 43 %, Irlanda 49 %. A livello più basso dell’Italia sono solo: Macedonia, Malta, Romania e Turchia. 
L’Italia è, dunque, carente nei livelli di istruzione. Negli investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico sta poco sopra la metà della media europea - particolarmente nel settore privato.
Attendiamo che il Consiglio dei Ministri rimedi all’omissione e definisca strategie urgenti ed efficaci. Agli industriali italiani poco innovativi, diciamo: “Senza innovazione energica e sapiente – non sopravviverete.”