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lunedì 24 marzo 2014

Ectoplasmi

Da 36 anni è un atteso ritorno, come il festival di Sanremo a febbraio, a marzo spuntano puntuali le ombre sul rapimento di Aldo Moro e la mattanza della sua scorta.
Quelle di quest'anno riguardano la motocicletta Honda blu, presente in via Fani il 16 marzo del 1978, dalla quale partì, da un piccolo mitra, una raffica contro l’ingegner Alessandro Marini che si trovava a passare all’incrocio tra via Fani e via Stresa.
I proiettili frantumarono il parabrezza del suo motorino. L’ingegner Marini si salvò solo perché cadde di lato quando la raffica partì dal mitra.
La stessa sera a casa Marini arrivò la prima telefonata di minacce: “Devi stare zitto”. Per giorni le intimidazioni continuarono. Si rafforzarono quando tornò a testimoniare ad aprile e giugno. Poi l’ingegnere capì l’aria e si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò lavoro.
I brigatisti Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quella moto blu di grossa cilindrata: “Non è certamente roba nostra”.
Chi fossero i due uomini, che da quella moto spararono verso un civile presente sulla scena del rapimento, ad oggi non è ancora dato a sapersi.
Secondo il pm romano Antonio Marini, che ha indagato a lungo sulla vicenda, potrebbero essere uomini dei servizi segreti deviati.
Quest'anno il fatto viene confermato dall'ispettore Enrico Rossi, ora in pensione, che rivela il contenuto di una lettera scritta da uno dei due presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento, il 16 marzo 1978: "Dipendevo dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi. Dovevamo proteggere i terroristi da disturbi di qualsiasi genere". Nella missiva anche dettagli per risalire all'altro agente alla guida del mezzo, "ma l'indagine fu ostacolata".
Il fantasma di Moro continua ad aleggiare per l'Italia.
A proposito di poltergeist, non è un caso se il 10 giugno 1981, uno degli ultimi Presidenti della Repubblica in pectore a cui siamo scampati, Romano Prodi, chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro, rivelò i dettagli della famosa seduta spiritica avvenuta il 3 aprile 1978, nel corso della quale un' entità (nella fattispecie, come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira) avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.
Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile 1978 viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. 
All'allora Ministro dell'Interno Francesco Cossiga, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli a Roma, luogo della vera prigione di Moro, non viene in mente di mettere in collegamento le due cose. 
Il cadavere dell'esponente democristiano fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del PCI e da Piazza del Gesù, sede nazionale della DC.

sabato 17 agosto 2013

Nono cerchio - Tradimento contro chi si fida

Il nono e ultimo cerchio dell'Inferno dantesco colpisce i colpevoli di malizia e fraudolenza, contro chi si fida.
Il cerchio è costituito da un immenso lago di ghiaccio, reso tale dal vento causato dal movimento delle ali di Lucifero. Qui sono puniti i traditori di chi si è fidato, simboleggiati dalla freddezza del ghiaccio, così come furono freddi i loro cuori e le loro menti nell'ordire il peccato.
Tre anni fa, moriva Francesco Cossiga, se vi interessa sapere dove l'avrebbe posto l'Alighieri, potrete trovarlo qui.
A proposito di quanto avvenne a Ustica nel giugno dell'80, 19 febbraio 2008, in un’intervista a Sky Tg24, affermava: «Furono i nostri servizi segreti che, quando io ero Presidente della Repubblica, informarono l’allora Sottosegretario Giuliano Amato e me che erano stati i francesi, con un aereo della Marina, a lanciare un missile non ad impatto, ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo. La tesi è che i francesi sapevano che sarebbe passato l’aereo di Gheddafi. La verità è che Gheddafi si salvò perchè il Sismi, il generale Santovito, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro. I francesi questo lo sapevano videro un aereo dall’altra parte di quello italiano che si nascose dietro per non farsi prendere dal radar».

martedì 17 agosto 2010

Adieu!

Appena ieri pomeriggio s'è diffusa la notizia della morte di Francesco Cossiga è cominciata la ridda delle dichiarazioni coccodrillo.
Come sempre capita in queste felici occasioni il paese politico recupera 24 ore di unità nazionale. Da destra a sinistra, passando per l'immarcescibile centro, il defunto Presidente Emerito viene ricordato al pari dei padri della patria.
In un paese di alzheimerizzati il ricordo è un bene di cui abbiamo fatto a meno da tempo.
Di Cossiga si ricorda la grande statura culturale (16 lauree!) il ruolo di "Caron Dimonio" ideale tra la prima e la seconda repubblica. Qualcuno azzarda al picconatore. Financo la Lega, dalle pagine della Padania, scopre il Cossiga federalista (!)
Pochissimi, per lo più di sfuggita e sottovoce, parlano di luci e ombre.
I più si son dimenticati di Cossiga, uomo dei misteri, "Gladiatore", ministro dell'interno durante il rapimento di Aldo Moro, primo ministro durante le stragi di Ustica e di Bologna.
Ministro dell'Interno omertoso sull'omicidio di Giorgiana Masi (probabilmente) "sparata" da Giovanni Santone, poliziotto infiltrato, fotografato in borghese pistola in pugno durante gli scontri di piazza per il Referendum sul divorzio. Sbruffone impudente, fino a meno di due anni fa dalle pagine di un giornale si permetteva di consigliare l'attuale Ministro dell'Interno sull'atteggiamento da tenere nei confronti di un redivivo movimento studentesco.
Mi piace ricordarlo così:
"Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perchè pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito... Lasciarli fare (gli universitari, ndr). Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì... questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio" (Quotidiano Nazionale, 22 ottobre 2008)