Da 36 anni è un atteso ritorno, come il festival di Sanremo a febbraio, a marzo spuntano puntuali le ombre sul rapimento di Aldo Moro e la mattanza della sua scorta.
Quelle di quest'anno riguardano la motocicletta Honda blu, presente in via Fani il 16 marzo del 1978, dalla quale partì, da un piccolo mitra, una raffica contro l’ingegner Alessandro Marini che si trovava a passare all’incrocio tra via Fani e via Stresa.
I proiettili frantumarono il parabrezza del suo motorino. L’ingegner Marini si salvò solo perché cadde di lato quando la raffica partì dal mitra.
La stessa sera a casa Marini arrivò la prima telefonata di minacce: “Devi stare zitto”. Per giorni le intimidazioni continuarono. Si rafforzarono quando tornò a testimoniare ad aprile e giugno. Poi l’ingegnere capì l’aria e si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò lavoro.
I brigatisti Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quella moto blu di grossa cilindrata: “Non è certamente roba nostra”.
Chi fossero i due uomini, che da quella moto spararono verso un civile presente sulla scena del rapimento, ad oggi non è ancora dato a sapersi.
Secondo il pm romano Antonio Marini, che ha indagato a lungo sulla vicenda, potrebbero essere uomini dei servizi segreti deviati.
Quest'anno il fatto viene confermato dall'ispettore Enrico Rossi, ora in pensione, che rivela il contenuto di una lettera scritta da uno dei due presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento, il 16 marzo 1978: "Dipendevo dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi. Dovevamo proteggere i terroristi da disturbi di qualsiasi genere". Nella missiva anche dettagli per risalire all'altro agente alla guida del mezzo, "ma l'indagine fu ostacolata".
Il fantasma di Moro continua ad aleggiare per l'Italia.
A proposito di poltergeist, non è un caso se il 10 giugno 1981, uno degli ultimi Presidenti della Repubblica in pectore a cui siamo scampati, Romano Prodi, chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro, rivelò i dettagli della famosa seduta spiritica avvenuta il 3 aprile 1978, nel corso della quale un' entità (nella fattispecie, come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira) avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.
Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile 1978 viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo.
All'allora Ministro dell'Interno Francesco Cossiga, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli a Roma, luogo della vera prigione di Moro, non viene in mente di mettere in collegamento le due cose.
Il cadavere dell'esponente democristiano fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del PCI e da Piazza del Gesù, sede nazionale della DC.
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